Fu il primo codice nazionale ad entrare effettivamente in vigore. Nel 1780 il re di Prussia Federico II il Grande di Hohenzollern emanò un editto, con il quale autorizzò la codificazione. Secondo quest’atto il codice avrebbe dovuto ispirarsi al diritto naturale, sostituendo il diritto romano nei territori governati dal re di Prussia. Solo il diritto romano che si fosse rivelato compatibile con il diritto naturale avrebbe potuto essere incluso nel codice. Tra il 1780 e il 1786 un gruppo di giuristi lavorò a un “Progetto per un codice generale”. A tal fine venne redatto un riassunto del Corpus Iuris Civilis, furono raccolte legislazioni provinciali e sentenze. Ma il risultato fu respinto dal sovrano, perché ritenuto troppo voluminoso.
Federico morì nel 1786. Durante il regno di Federico Guglielmo II di Hohenzollern, si lavorò alla rielaborazione del “Progetto”, il quale fu inviato a vari studiosi europei, per riceverne indicazioni e suggerimenti. Un’ulteriore opera di revisione portò alla pubblicazione, nel giugno 1792, di un “Codice generale”, entrato in vigore in via sperimentale, per la sola Prussia meridionale, nel 1793. Dopo alcuni cambiamenti, entrò in vigore nel luglio del 1794.
Nell’Introduzione si identificavano i diritti dell’individuo nella libertà di promuovere il proprio benessere, senza ledere gli altrui diritti; al contempo fu enunciata la regola secondo la quale “tutto ciò che non è vietato, è permesso”. Era sancita l’uguaglianza giuridica: “le leggi dello Stato vincolano tutti i suoi sudditi, senza riguardo allo stato, al rango, o alla famiglia” (Introduzione). Era infatti prevista la possibilità di chiamare in giudizio il sovrano; in tal caso le cause sarebbero state giudicate da tribunali ordinari.
Comprendeva una prima parte che disciplinava i diritti reali, suddivisa a sua volta in sei libri: modi diretti di trasferimento della proprietà; modi indiretti di trasferimento della proprietà; diritto successorio; perdita della proprietà; proprietà collettiva; diritti sulle cose. La seconda parte concerneva le associazioni, a sua volta divisa in tre parti: diritto di famiglia; diritti dei ceti nello Stato; diritti e doveri dello Stato nei confronti dei cittadini.
Lasciò in vigore il diritto consuetudinario locale, a differenza della successiva codificazione austriaca e francese. Benché talune sue parti siano rimaste in vigore fino al XX secolo, trovò difficoltà di applicazione, anche per la sua prolissità. Esso fu inoltre attaccato dalla scuola storica, particolarmente critica verso la codificazione.
Ciò nonostante rappresentò l’espressione di una notevole cultura giuridica, capace di esprimere un monumentale ordinamento statale, partendo da un rigoroso sistema di principi giusnaturalistici.