Riedizione ottocentesca della celebre pratica criminale del giurista pugliese Briganti.
Briganti TommasoNato a Gallipoli il 21 apr. 1691, laureato in legge a Roma nel 1717, dedicò la sua vita agli studi giuridici, in un'atmosfera coscientemente provinciale, largamente aperta tuttavia agli stimoli intellettuali europei (Bayle, Locke, Le Cierc, Fontenelle, Voltaire, d'Argens, Montesquieu) e soprattutto alla grande discussione sui fondamenti stessi del diritto che si svolse in Italia nel primo Settecento (Gravina, D'Andrea, Giannone, Muratori, Rapolla, Di Gennaro). Egli si schierò tra i partigiani d'una visione storica del giure, rifacendosi ad Alciato e a Cujas, e si proclamò apertamente favorevole ai moderni, "malgrado lo sforzo di coloro che vorrebbero ristabilire l'uso delle ghiande". Prese a sua guida "due nobilissime scienze affatto ignote agli antichi, la cronologia de' tempi e l'arte critica" e polemizzò sempre contro i puri e semplici "pratici" e, a maggior ragione, contro "la plebaglia de' legulei". Seguì con simpatia le riforme o, com'egli diceva, il rinnovamento della "tela giudiciaria" della prima età di Carlo di Borbone e del suo ministro Tanucci. Frutto maggiore di questi suoi studi fu la Pratica criminale delle corti regie e baronali del Regno di Napoli, scritta nel 1751 e pubblicata nella capitale nel 1755. C.f.r. Treccani. Dizionario biografico degli Italiani.