celebre monografia di Farinacci sui testimoni, occupa la seconda parte della Praxis e Theoricae Criminalis, più precisamente dalla Quaest. LIII alla Quaest. LXXX.
" Lo scopo più alto a cui gli epigoni della scuola bartoliana potevano a quel tempo aspirare, nel campo del diritto penale, era la riduzione di questo diritto a scienza esatta: che è poi lo scopo che finisce col proporsi ogni corrente di pensiero, quando l'impeto creativo si sia placato e si siano seccate le sorgenti prime che le avevan dato una ragione di vita. Il compito immane toccò a Prospero Farinacci, e la sua mente quadrata e la sua forte capacità di lavoro gli consentirono di sostenerlo. Ma una macchina pensante non era: era un uomo vivo, immerso operosamente nell'attività del foro e dei pubblici uffici, dotato d'un senso del diritto che non si restringeva alla dommatica; epperò non potè attuare in pieno quel suo schema ideale, che avrebbe annientato la sua personaltià. Forse controvoglia, le sue pagine dicono tuttora qualcosa ". C.f.r. Fiorelli. La tortura giudiziaria nel diritto comune.
Note sull'opera
sparse fioriture e leggeri aloni, tarletti al margine interno bianco dell'Indice.
Note sull'autore
Farinaccio ProsperoPenalista Romano nato nel 1544 e morto nel 1618. Di umili natali, studiò a Padova, e laureatosi si diede all’avvocatura. Clemente VIII° lo nominò Consigliere della Sacra Consulta e Paolo V° lo fece Proc. Gen. Fiscale della Camera Apostolica. Il suo più grande merito è legato alla “Praxis e Theorica Criminalis” (purtroppo interrotta dalla sua morte) nella quale passa in rassegna tutte le questioni che potevano agitarsi in materia penale, e che riflettono il pensiero sulla Scienza Giuridica Criminale, non solo del suo tempo, ma anche dei secoli precedenti. Essa tenne a lungo il primato, nelle Scuole e nei Tribunali d’Italia e fuori, ed esercitò grande influsso sullo sviluppo ed il progresso della scienza penale e processuale di tutta Europa.