IIa edizione di questo classico del diritto civile toscano che ha in più, rispetto alla precedente, un copioso Indice Ragionato da pp. 551 a 616.
"Prima della morte era riuscito a portare a compimento la stesura di due dei quattro progettati volumi delle Istituzioni civili, opera destinata soprattutto a quanti si avviavano alla pratica forense. Con questo scritto il F. si riprometteva di tracciare, per grandi linee, attorno ad alcuni nuclei centrali - leggi, diritto di proprietà, libertà civile - la storia delle istituzioni in Italia nelle sue connessioni con la più ampia realtà culturale e civile del paese. Pubblicate postume grazie all'interessamento del Vieusseux, le Istituzioni incontrarono notevole successo, al punto che G. Montanelli, per quanto politicamente lontano dal F., arrivò ad affermare che alcune pagine dell'opera ricordavano, per lucidità e chiarezza, Machiavelli". C.f.r. Treccani. Dizionario biografico degli italiani.
Note sull'autore
Forti FrancescoNato a Pescia nel 1806 e morto a Firenze nel 1838; nipote per parte di madre dell’economista Sismondi. Nel 1822 il F. si iscrisse a giurisprudenza presso l'università di Pisa, nota per le idee liberali che vi circolavano, ed ebbe tra i docenti G. Carmignani, insigne studioso di diritto criminale vicino alle idee romagnosiane, che lo avviò, in particolare, allo studio della filosofia civile. Nella sua preparazione il F. cercava di inserire le materie legali in un più vasto ambito, cogliendone soprattutto i legami con le scienze morali e politiche; privilegiava inoltre la lettura dei pensatori francesi e italiani del secolo XVIII, dei quali apprezzava Montesquieu, Condillac, Bentham, Filangieri e Beccaria. Frutto delle sue prime riflessioni è la Lettera sulla direzione degli studi, scritta nel 1824, ma pubblicata postuma da G.P. Vieusseux nel '43, con la falsa indicazione di Ginevra. Il lavoro, suddiviso in tre lunghe lettere che il F. scrisse, o finse di avere scritto, a un amico per indicargli le opere e gli scrittori da conoscere in materie quali storia, filosofia e legislazione, fu accolto con grande favore dallo zio Sismondi. Assai diverso sarebbe stato invece nei riguardi della Lettera l'atteggiamento delle autorità ecclesiastiche, che la definirono empia e sospetta d'eresia e ne proibirono la lettura. Conseguita la laurea, il F. si stabilì a Firenze dove fu accolto con affetto dal Vieusseux che lo introdusse negli ambienti liberali della città. In breve il F. divenne lo storico ufficiale dell'Antologia, intervenendo su questioni metodologiche, su dispute politico-ideologiche e recensendo o segnalando le più significative opere di autori italiani e stranieri (Sismondi stesso, F. Guizot, A. Thierry, A. Mignet, F.C. von Savigny). Nel dibattito allora molto acceso tra seguaci delle filosofie della storia e storici legati a un metodo più pragmatico e empirico, il F. prese netta posizione a favore di questi ultimi, indicando in P. Giannone, C. Fleury e L.A. Muratori gli esempi da seguire. Alle astrazioni metafisiche contrapponeva lo studio delle fonti e delle memorie, che immergevano nel particolare e nel determinato. Riguardo all'Italia era favorevole al recupero delle istorie municipali, atte a stimolare la riflessione e a sviluppare la consapevolezza di una coscienza nazionale. L'Archivio storico italiano avrebbe in seguito fatto proprie molte delle suggestioni da lui avanzate. Avverso ai moti del '31, in quanto contrario all'uso della violenza nelle controversie politiche (la strada da battere era per lui quella delle riforme lente e graduali), al principio del '32 pubblicò sull'Antologia l'articolo Dubbi ai romantici, nel quale manifestava grandi perplessità sui seguaci di tale corrente. Notevole fu l'eco suscitata dall'articolo in cui molti videro una precisa risposta del riformismo moderato al progressivo affermarsi delle teorie democratiche. Alla fine dello stesso anno il F. lasciò l'Antologia e ottenne un impiego di avvocato presso la Ruota criminale di Firenze, provocando aspre reazioni. Vieusseux e lo zio Sismondi lo accusarono di tradimento, Gioberti di apostasia. Difficile comprendere quali ragioni lo spingessero a una tale decisione, indotta probabilmente da dissapori nella conduzione della rivista legati al suo desiderio di trovare una più stabile sistemazione. C.f.r. Treccani. Dizionario biografico degli italiani.